Kamchatka - Nelle terre estreme tra ghiaccio e fuoco
Nell’inverno 2016 una nostra amica ci racconta di un suo viaggio dell’estate in una terra semisconosciuta e certamente poco visitata: la penisola della "Kamchatka". Questo luogo non mi è nuovo anche se mi risulta difficile collocarlo sul mappamondo. Mi balena subito l’idea di andarci e faccio la proposta a mia moglie che l’accoglie con grande entusiasmo. Nei primi anni ’90 subito dopo la fine della guerra fredda tra Est e Ovest, fui affascinato da uno straordinario reportage naturalistico sulla Kamchatka, allora territorio militare dell’Unione Sovietica, realizzato da una troupe europea che illustrava l’asprezza dei suoi paesaggi e la grande difficoltà di spostamenti lungo piste quasi inesistenti.
Sono conscio che il viaggio si rivelerà una grande avventura alla scoperta di paesaggi lunari e di territori incontaminati considerati tra i più selvaggi della terra. È anche uno dei pochi angoli al mondo dove si concentra una altissima quantità di vulcani e se ne può sentire il respiro caldo dalla terra: ci troviamo infatti sulla così detta cintura di fuoco del Pacifico. Siamo nell’estremo Oriente Siberiano, dall’altra parte del globo e la cosa che maggiormente mi preoccupa sono i ben dieci fusi orari di differenza con l’Italia. Il viaggio inizia un sabato pomeriggio direzione aeroporto della Malpensa dove, sbrigate le pratiche doganali, ci imbarchiamo a mezzanotte e mezza sul volo Aeroflot per Mosca. Seguiranno altre tre tappe: Novosibirsk, quindi Chabarovsk e infine, dopo ben 16 ore di volo effettive, Petropavlovsk-Kamchatsky. Sorvoliamo la desolata taiga di questi sconfinati territori prima di attraversare il mare di Okhotsk mentre dall’oblò ci appaiono già i primi vulcani della Kamchatka. Quasi per regalarci una cartolina panoramica, il pilota della compagnia Aurora compie un’ampia virata sulla piana di Petropavlovsk e l’Avacha Bay. Atterriamo all’aeroporto di Petropavlovsk-Kamchatskij nell’Oblast’ di Kamchatka alle 15:30 locali del lunedì pomeriggio. Scesi dall’aereo una sorprendente temperatura di 30° e un cielo particolarmente azzurro ci regala una prima veduta sui vulcani Avachinsky e Koryaksky. Tutto ad un tratto la fatica del viaggio svanisce e una forte emozione mi pervade mentre ammiro questo sperduto angolo del pianeta. Ad attenderci la nostra guida Victor che ci accompagnerà in questo avvincente seppur duro viaggio. Con un minibus raggiungiamo il capoluogo dove facciamo sosta in un market per l’acquisto di provviste per i prossimi giorni. Attraversiamo alcuni quartieri di periferia, tra case in legno tipicamente siberiane, ognuna con il proprio orto coltivato a patate e verdure. Purtroppo anche qui si sente la forte eredità lasciata dall’impero sovietico: grandi condomini fatiscenti in cemento, baracche con materiali accantonati di ogni genere, vecchie auto e autocarri abbandonati. Arrivati alla nostra "guest-house" ci accoglie la Signora Marta, un’americana che vive qui ormai da anni e che organizza viaggi avventura in questi aspri territori. La struttura, di recente costruzione, è molto accogliente e con una cucina ben fornita, mentre un’esperta cuoca ci meraviglierà con piatti particolarmente prelibati. Dopo una rapida sistemazione non resisto alla tentazione di andare ad osservare alcuni fiori visti lungo la strada dal finestrino del minibus. Scopro un mondo del tutto nuovo, una flora a me totalmente sconosciuta a cui senza l’aiuto di un testo difficilmente riuscirò a dare un nome: gigli, composite, gerani, filipendula e tanti altri.
Al mattino fervono i preparativi, lasciamo in guest-house le cose che non ci serviranno per i prossimi giorni, fuori un grosso autocarro allestito per il trasporto di persone viene caricato di tutto punto con viveri e tende per il campo. Si tratta di un mezzo speciale con sei ruote motrici in grado di affrontare i terreni più impervi e che sarà determinante in alcune situazioni, grazie anche all’esperienza del suo autista e dell’aiuto di un provetto meccanico. Dell’equipaggio fanno parte anche le due guide, Victor e il suo aiutante, la cuoca Irina e un ragazzo fiorentino di nome Francesco che sarà il nostro prezioso interprete. Il viaggio inizia in direzione nord lungo l’unica arteria che attraversa parte della penisola, inizialmente asfaltata poi in terra battuta. Infinite foreste di latifoglie ci accompagnano per cinquecento chilometri, con breve soste per ritemprarci e goderci questi insoliti paesaggi. È ormai sera quando giungiamo a Kozyrevsk, uno sperduto villaggio nel cuore della penisola, dove trascorriamo la notte in una rustica guest-house.
Finalmente entriamo nel vivo del viaggio, la taiga ora lascia il posto ad estesi depositi di lapilli vulcanici e tormentate zone laviche, per addentrarci nel complesso vulcanico del Tolbachik. Un pianoro alle pendici del Monte Ostry Tolbachik funge da campo base a numerose comitive, dove decine di tende sono l’unico tono di colore di questo vasto deserto di lapilli. Trascorriamo queste giornate esplorando lo straordinario paesaggio lunare attorno a noi, creato dall’eruzione degli anni ’70, quando si è aperta la grande spaccatura che ha modificato la morfologia del territorio circostante. Impressionanti sono gli scenari quasi apocalittici della foresta pietrificata, dove unici testimoni sono la punta dei larici sommersi da alcuni metri di cenere e gli incredibili coni di scorie alti fino a 300 metri. Eppure in questi ambienti apparentemente ostili ho potuto osservare una pregiata e variegata flora, per lo più endemica: Saxifraga, Dianthus, Minuartia, Papaver, Campanula e Salix. Purtroppo ai componenti della comitiva il paesaggio floristico desta ben poco interesse, perciò ho avuto poco tempo per guardarmi attorno e spesso ho dovuto catturare immagini al volo. Trascorsi alcuni giorni tra questi paesaggi primordiali ritorniamo a Kozyrevsk e quindi proseguiamo per il villaggio di Esso dove vivono alcune comunità di Even, un popolo autoctono della Kamchatka, dediti all'allevamento delle renne. Però incontrare quest’etnia in piena estate è praticamente impossibile poiché sono in viaggio con le loro mandrie verso i pascoli estivi della Siberia settentrionale.
Il giorno successivo riprendiamo il viaggio verso sud diretti agli altipiani del Gorely Volcan. Estese brughiere a Rhododendron camtschaticum ingentiliscono questi rilievi arrotondati. Dal campo di tende in riva ad un torrente le nostre escursioni ci portano in luoghi straordinari e inconsueti, dove la natura è la padrona indiscussa. Purtroppo il tempo è cambiato e la temperatura scesa sensibilmente mentre una fitta nebbia avvolge le cime vulcaniche. Nonostante questo, come prima escursione saliamo, senza alcuna difficoltà, al cratere sommitale del Gorelaya Sopka, ma sfortunatamente la nebbia ci preclude la visuale sul turchese laghetto del suo interno, tanto decantato su alcune riviste. La seconda escursione ci permette di addentrarci in un vero inferno dantesco alle pendici del Mutnovsky Volcan. Risaliamo un vallone tra fango e neve accumulata e per debole traccia guadagniamo quota sotto pareti variopinte per la diversa natura geologica. Improvvisamente veniamo investiti da un forte odore di uova marce, un odore di zolfo proveniente da una zona di fumarole, dove da enormi buchi nel terreno fuoriescono sbuffi di anidride solforosa. Ci aggiriamo in questo paesaggio infernale facendo attenzione a non inalare i gas tossici coprendoci il naso e la bocca. Poco più in là manifestazioni geotermiche di vario genere come geyser e pozze ribollenti di fango, si riversano in un impetuoso torrente causando il sollevamento di grandi nubi di vapore.
Ritornati al campo trascorriamo la serata parlando di queste giornate "russe", della natura che ci circonda e di una eventuale visita dell’orso, mentre un gruppetto si diletta in una gioiosa partita a carte. Dopo cena ci viene raccomandato di raggruppare tutto il cibo che abbiamo e trasferirlo sull’autocarro per evitare che l’odore possa attirare effettivamente l’orso. Ritiratici nelle nostre tendine per la notte, veniamo improvvisamente svegliati dal trambusto e dal clacson del camion con cui si cerca di allontanare gli intrusi già intrufolatisi nella tenda cucina. Quando usciamo però l’orsa con i suoi due cuccioli si è già eclissata, quindi non ci resta che tornare nel nostro caldo sacco a pelo, certamente con non poco timore. Al mattino una fitta nebbia e una pioggerellina creano un'atmosfera surreale. Mentre si smonta il campo rubo un po' di tempo per girovagare tra vaste distese di Iris, Rhododendron, Epilobium e scattare fotografie, quando una sagoma scura dietro un cespuglio attira la mia attenzione. Il giovane orso alla ricerca di cibo, è ad una ventina di metri da me e non mi ha ancora sentito, quindi estraggo la fotocamera. Vorrei fermare il tempo per godermi questo emozionante incontro, ma nemmeno il tempo di mirare che l'animale sente la mia presenza, i nostri sguardi si incontrano e rapidamente sparisce nella nebbia.
Tornati alla guest-house a Petropavlovsk, per l’indomani è in programma la navigazione nella baia di Avacha e lungo le scogliere che si affacciano sull'Oceano Pacifico. Nonostante la giornata non sia delle più belle abbiamo la fortuna di osservare foche, numerose colonie di gabbiani tridattili e urie intenti a nidificare su scoscese pareti rocciose. Ma ciò che più mi affascina è il volo frenetico della pulcinella di mare alla continua ricerca di cibo. In una tranquilla insenatura, un giro col gommone ci permette di avvicinarci a questo straordinario paradiso di uccelli. Sostiamo quindi per il pranzo a base di ricci verdi, granchi e naturalmente salmone affumicato.
Finalmente giunge anche il momento dell'escursione al vulcano Avachinsky, che raggiungiamo attraverso una fitta foresta di betulle e successivamente una zona di detriti vulcanici parzialmente colonizzata da una ricca flora pioniera. Nei pressi di alcune strane strutture ricettive a forma di serbatoi e che fungono da rifugio, ci incamminiamo dapprima in un vallone per poi prendere quota lungo un pendio. Sotto i nostri piedi solo lapilli e cenere vulcanica, qua e là qualche pulvino di Saxifraga, Artemisia, Stellaria rendono l'ambiente meno aspro. Purtroppo anche oggi il tempo minaccia, mentre saliamo il cielo è sempre più cupo e pian piano scompariamo nella nebbia. Le nostre guide decidono saggiamente che non vale la pena proseguire, perciò seguendo la via di maggiore pendenza effettuiamo una divertente discesa nella cenere vulcanica. Arrivati al nostro autocarro, ci concediamo un panino e qualche snack attirando numerosi scoiattoli di terra. Queste meravigliose e simpatiche creature, certamente abituate all'uomo, senz'alcun timore prendono il cibo dalla mano.
Ormai il viaggio volge al termine, domani dovremo affrontare la lunga via del ritorno. Mentre torniamo alla guest-house ripenso agli ecosistemi di questa terra dura e austera, ai suoi continui mutamenti geologici, alla sua incantevole flora. Penso alla vita serena degli abitanti negli isolati villaggi, lontani 6800 km dai problemi di Mosca e penso sopratutto a tutte le meraviglie che non ho avuto la possibilità di vedere. Certo, qui non ci sono testimonianze storiche, arte, cultura, monumenti da visitare ma unicamente una totale immersione in sconfinati paesaggi naturali. Ovviamente, come ogni luogo sarebbe opportuno ritornarci una seconda volta per scoprirne le peculiarità. Magari… chissà, forse un giorno…
Sono conscio che il viaggio si rivelerà una grande avventura alla scoperta di paesaggi lunari e di territori incontaminati considerati tra i più selvaggi della terra. È anche uno dei pochi angoli al mondo dove si concentra una altissima quantità di vulcani e se ne può sentire il respiro caldo dalla terra: ci troviamo infatti sulla così detta cintura di fuoco del Pacifico. Siamo nell’estremo Oriente Siberiano, dall’altra parte del globo e la cosa che maggiormente mi preoccupa sono i ben dieci fusi orari di differenza con l’Italia. Il viaggio inizia un sabato pomeriggio direzione aeroporto della Malpensa dove, sbrigate le pratiche doganali, ci imbarchiamo a mezzanotte e mezza sul volo Aeroflot per Mosca. Seguiranno altre tre tappe: Novosibirsk, quindi Chabarovsk e infine, dopo ben 16 ore di volo effettive, Petropavlovsk-Kamchatsky. Sorvoliamo la desolata taiga di questi sconfinati territori prima di attraversare il mare di Okhotsk mentre dall’oblò ci appaiono già i primi vulcani della Kamchatka. Quasi per regalarci una cartolina panoramica, il pilota della compagnia Aurora compie un’ampia virata sulla piana di Petropavlovsk e l’Avacha Bay. Atterriamo all’aeroporto di Petropavlovsk-Kamchatskij nell’Oblast’ di Kamchatka alle 15:30 locali del lunedì pomeriggio. Scesi dall’aereo una sorprendente temperatura di 30° e un cielo particolarmente azzurro ci regala una prima veduta sui vulcani Avachinsky e Koryaksky. Tutto ad un tratto la fatica del viaggio svanisce e una forte emozione mi pervade mentre ammiro questo sperduto angolo del pianeta. Ad attenderci la nostra guida Victor che ci accompagnerà in questo avvincente seppur duro viaggio. Con un minibus raggiungiamo il capoluogo dove facciamo sosta in un market per l’acquisto di provviste per i prossimi giorni. Attraversiamo alcuni quartieri di periferia, tra case in legno tipicamente siberiane, ognuna con il proprio orto coltivato a patate e verdure. Purtroppo anche qui si sente la forte eredità lasciata dall’impero sovietico: grandi condomini fatiscenti in cemento, baracche con materiali accantonati di ogni genere, vecchie auto e autocarri abbandonati. Arrivati alla nostra "guest-house" ci accoglie la Signora Marta, un’americana che vive qui ormai da anni e che organizza viaggi avventura in questi aspri territori. La struttura, di recente costruzione, è molto accogliente e con una cucina ben fornita, mentre un’esperta cuoca ci meraviglierà con piatti particolarmente prelibati. Dopo una rapida sistemazione non resisto alla tentazione di andare ad osservare alcuni fiori visti lungo la strada dal finestrino del minibus. Scopro un mondo del tutto nuovo, una flora a me totalmente sconosciuta a cui senza l’aiuto di un testo difficilmente riuscirò a dare un nome: gigli, composite, gerani, filipendula e tanti altri.
Al mattino fervono i preparativi, lasciamo in guest-house le cose che non ci serviranno per i prossimi giorni, fuori un grosso autocarro allestito per il trasporto di persone viene caricato di tutto punto con viveri e tende per il campo. Si tratta di un mezzo speciale con sei ruote motrici in grado di affrontare i terreni più impervi e che sarà determinante in alcune situazioni, grazie anche all’esperienza del suo autista e dell’aiuto di un provetto meccanico. Dell’equipaggio fanno parte anche le due guide, Victor e il suo aiutante, la cuoca Irina e un ragazzo fiorentino di nome Francesco che sarà il nostro prezioso interprete. Il viaggio inizia in direzione nord lungo l’unica arteria che attraversa parte della penisola, inizialmente asfaltata poi in terra battuta. Infinite foreste di latifoglie ci accompagnano per cinquecento chilometri, con breve soste per ritemprarci e goderci questi insoliti paesaggi. È ormai sera quando giungiamo a Kozyrevsk, uno sperduto villaggio nel cuore della penisola, dove trascorriamo la notte in una rustica guest-house.
Finalmente entriamo nel vivo del viaggio, la taiga ora lascia il posto ad estesi depositi di lapilli vulcanici e tormentate zone laviche, per addentrarci nel complesso vulcanico del Tolbachik. Un pianoro alle pendici del Monte Ostry Tolbachik funge da campo base a numerose comitive, dove decine di tende sono l’unico tono di colore di questo vasto deserto di lapilli. Trascorriamo queste giornate esplorando lo straordinario paesaggio lunare attorno a noi, creato dall’eruzione degli anni ’70, quando si è aperta la grande spaccatura che ha modificato la morfologia del territorio circostante. Impressionanti sono gli scenari quasi apocalittici della foresta pietrificata, dove unici testimoni sono la punta dei larici sommersi da alcuni metri di cenere e gli incredibili coni di scorie alti fino a 300 metri. Eppure in questi ambienti apparentemente ostili ho potuto osservare una pregiata e variegata flora, per lo più endemica: Saxifraga, Dianthus, Minuartia, Papaver, Campanula e Salix. Purtroppo ai componenti della comitiva il paesaggio floristico desta ben poco interesse, perciò ho avuto poco tempo per guardarmi attorno e spesso ho dovuto catturare immagini al volo. Trascorsi alcuni giorni tra questi paesaggi primordiali ritorniamo a Kozyrevsk e quindi proseguiamo per il villaggio di Esso dove vivono alcune comunità di Even, un popolo autoctono della Kamchatka, dediti all'allevamento delle renne. Però incontrare quest’etnia in piena estate è praticamente impossibile poiché sono in viaggio con le loro mandrie verso i pascoli estivi della Siberia settentrionale.
Il giorno successivo riprendiamo il viaggio verso sud diretti agli altipiani del Gorely Volcan. Estese brughiere a Rhododendron camtschaticum ingentiliscono questi rilievi arrotondati. Dal campo di tende in riva ad un torrente le nostre escursioni ci portano in luoghi straordinari e inconsueti, dove la natura è la padrona indiscussa. Purtroppo il tempo è cambiato e la temperatura scesa sensibilmente mentre una fitta nebbia avvolge le cime vulcaniche. Nonostante questo, come prima escursione saliamo, senza alcuna difficoltà, al cratere sommitale del Gorelaya Sopka, ma sfortunatamente la nebbia ci preclude la visuale sul turchese laghetto del suo interno, tanto decantato su alcune riviste. La seconda escursione ci permette di addentrarci in un vero inferno dantesco alle pendici del Mutnovsky Volcan. Risaliamo un vallone tra fango e neve accumulata e per debole traccia guadagniamo quota sotto pareti variopinte per la diversa natura geologica. Improvvisamente veniamo investiti da un forte odore di uova marce, un odore di zolfo proveniente da una zona di fumarole, dove da enormi buchi nel terreno fuoriescono sbuffi di anidride solforosa. Ci aggiriamo in questo paesaggio infernale facendo attenzione a non inalare i gas tossici coprendoci il naso e la bocca. Poco più in là manifestazioni geotermiche di vario genere come geyser e pozze ribollenti di fango, si riversano in un impetuoso torrente causando il sollevamento di grandi nubi di vapore.
Ritornati al campo trascorriamo la serata parlando di queste giornate "russe", della natura che ci circonda e di una eventuale visita dell’orso, mentre un gruppetto si diletta in una gioiosa partita a carte. Dopo cena ci viene raccomandato di raggruppare tutto il cibo che abbiamo e trasferirlo sull’autocarro per evitare che l’odore possa attirare effettivamente l’orso. Ritiratici nelle nostre tendine per la notte, veniamo improvvisamente svegliati dal trambusto e dal clacson del camion con cui si cerca di allontanare gli intrusi già intrufolatisi nella tenda cucina. Quando usciamo però l’orsa con i suoi due cuccioli si è già eclissata, quindi non ci resta che tornare nel nostro caldo sacco a pelo, certamente con non poco timore. Al mattino una fitta nebbia e una pioggerellina creano un'atmosfera surreale. Mentre si smonta il campo rubo un po' di tempo per girovagare tra vaste distese di Iris, Rhododendron, Epilobium e scattare fotografie, quando una sagoma scura dietro un cespuglio attira la mia attenzione. Il giovane orso alla ricerca di cibo, è ad una ventina di metri da me e non mi ha ancora sentito, quindi estraggo la fotocamera. Vorrei fermare il tempo per godermi questo emozionante incontro, ma nemmeno il tempo di mirare che l'animale sente la mia presenza, i nostri sguardi si incontrano e rapidamente sparisce nella nebbia.
Tornati alla guest-house a Petropavlovsk, per l’indomani è in programma la navigazione nella baia di Avacha e lungo le scogliere che si affacciano sull'Oceano Pacifico. Nonostante la giornata non sia delle più belle abbiamo la fortuna di osservare foche, numerose colonie di gabbiani tridattili e urie intenti a nidificare su scoscese pareti rocciose. Ma ciò che più mi affascina è il volo frenetico della pulcinella di mare alla continua ricerca di cibo. In una tranquilla insenatura, un giro col gommone ci permette di avvicinarci a questo straordinario paradiso di uccelli. Sostiamo quindi per il pranzo a base di ricci verdi, granchi e naturalmente salmone affumicato.
Finalmente giunge anche il momento dell'escursione al vulcano Avachinsky, che raggiungiamo attraverso una fitta foresta di betulle e successivamente una zona di detriti vulcanici parzialmente colonizzata da una ricca flora pioniera. Nei pressi di alcune strane strutture ricettive a forma di serbatoi e che fungono da rifugio, ci incamminiamo dapprima in un vallone per poi prendere quota lungo un pendio. Sotto i nostri piedi solo lapilli e cenere vulcanica, qua e là qualche pulvino di Saxifraga, Artemisia, Stellaria rendono l'ambiente meno aspro. Purtroppo anche oggi il tempo minaccia, mentre saliamo il cielo è sempre più cupo e pian piano scompariamo nella nebbia. Le nostre guide decidono saggiamente che non vale la pena proseguire, perciò seguendo la via di maggiore pendenza effettuiamo una divertente discesa nella cenere vulcanica. Arrivati al nostro autocarro, ci concediamo un panino e qualche snack attirando numerosi scoiattoli di terra. Queste meravigliose e simpatiche creature, certamente abituate all'uomo, senz'alcun timore prendono il cibo dalla mano.
Ormai il viaggio volge al termine, domani dovremo affrontare la lunga via del ritorno. Mentre torniamo alla guest-house ripenso agli ecosistemi di questa terra dura e austera, ai suoi continui mutamenti geologici, alla sua incantevole flora. Penso alla vita serena degli abitanti negli isolati villaggi, lontani 6800 km dai problemi di Mosca e penso sopratutto a tutte le meraviglie che non ho avuto la possibilità di vedere. Certo, qui non ci sono testimonianze storiche, arte, cultura, monumenti da visitare ma unicamente una totale immersione in sconfinati paesaggi naturali. Ovviamente, come ogni luogo sarebbe opportuno ritornarci una seconda volta per scoprirne le peculiarità. Magari… chissà, forse un giorno…